Manifesto per l’Italia

  Occuparsi di singoli problemi è indispensabile; ma occorre anche non perdere mai di vista il quadro generale e di lungo termine, di cui essi fanno parte. Quando Elias Canetti scrisse che l’Italia ha sulle spalle un fardello storico più grande di quello che può sopportare, fece un’osservazione che merita molta attenzione. Quel fardello, in ultima analisi, è il suo immenso patrimonio culturale.

“L’Italia è un’espressione geografica!” Questa enunciazione è fatta risalire a Metternich, che riflette una visione esclusivamente politica. Correggiamola e diciamo: “L’Italia è un’espressione culturale!” Cultura ha qui un significato alto, di sede di un grande complesso storico di conoscenze e di creatività. Questo complesso risale all’antichità classica, prosegue con l’affermazione del cristianesimo nella sua costruzione ecclesiale lungo il medioevo, si amplia con l’umanesimo e il Rinascimento, dei quali l’Italia è la terra di origine e al tempo stesso più fertile, e la sua eredità continua a fiorire in forme anche rinnovate fino alla cosiddetta età dei lumi, nella quale eccellono soprattutto ambienti lombardo-veneti e napoletani. Terra di grande e splendida cultura, la sua storia prende una svolta col Risorgimento, il quale sovrappone la politica alla cultura. La sovrapposizione della politica alla cultura si presenta, a grandi linee, in quattro fasi.

Prima fase. Il Risorgimento si impossessa del patrimonio culturale italiano e lo rinchiude nel perimetro della nazione, sottoponendolo all’idea di stato nazionale. Il nazionalismo esalta la cultura tradizionale italiana e al tempo stesso la umilia sottoponendola al nazionalismo politico o, se si preferisce, alla politica nazionalista.

Seconda fase. Il fascismo è la diretta continuazione dell’opera politico-nazionalistica del Risorgimento, impostandone una strategia espansionistica, intesa a trasformare l’Italia in grande potenza politica e ispirandosi retoricamente soprattutto all’antica potenza di Roma.

Terza fase. Col crollo del fascismo continua il predominio di obbiettivi politici. Perseguendoli, l’Italia viene lacerata in due schieramenti: l’uno politicizza la religione e si allinea su posizioni occidentalistiche filoamericane (capofila la democrazia cristiana), l’altro si allinea su posizioni orientalistiche filosovietiche (capofila il partito comunista). Mirando entrambi a cancellare le tracce di fascismo e di nazionalismo, avviano un processo di de-italianizzazione, che si risolve nel trascurare la tradizione culturale italiana o a riciclarne frammenti propinati in intrugli di natura ideologica. Le istituzioni culturali, in primo piano la scuola e le università, vengono invase da socio-pedagogie infarcite di ideologismi.

Quarta fase. E’ la diretta continuazione della fase precedente. Col venir meno della rigida contrapposizione tra blocco atlantico e blocco sovietico, per il dissolversi di quest’ultimo, la “politicizzazione” dell’Italia prosegue come sua deculturazione. Precisamente si opera uno sradicamento programmato dal costume culturale per favorire processi di provincializzazione all’interno della globalizzazione, giungendo perfino a istituire corsi ufficiali, non di carattere linguistico, nei quali è vietato l’uso della lingua italiana.

In tal modo l’Italia viene effettivamente ridotta soltanto a un’espressione geografica, come aveva detto Metternich. La storia politica italiana, a partire dalla svolta risorgimentale, ha manifestato costantemente un atteggiamento di carattere provinciale, profondamente in contrasto con la sua civiltà culturale, dai toni elevati. Provincialismo evidente in tutte e quattro le suddette fasi. Nella prima è soprattutto dettato dal modello del nazionalismo francese; nella seconda dall’imitazione del napoleonismo e delle potenze coloniali; nella terza fase dalla consapevole e contrapposta sudditanza alle potenze atlantiche e al blocco sovietico; nella quarta fase dalla completa sottomissione, anche costumale, alle direttive globalizzanti soprattutto indirizzate dalla politica culturale nord-americana. Senza negare quanto di buono in singoli momenti e in casi particolari è stato fatto – soprattutto, va riconosciuto, nella seconda fase – il bilancio generale mostra nell’arco di tempo qui indicato una costante contrazione e spesso mortificazione delle tradizionali potenzialità della cultura italiana.

Le crisi politiche e le crisi economiche sono inevitabili, ma prima di tutto sono crisi culturali. Si pone ora la domanda su quale ruolo dovrebbe avere la cultura italiana, una volta ammessa la sua capacità di sapersi valorizzare.

L’Italia, non solo geograficamente, ha una natura peninsulare. Si protende al centro del Mediterraneo, mentre al nord si addentra nel territorio continentale. La sua posizione e la sua storia fanno dell’Italia, più di qualsiasi altro territorio europeo, un ponte di collegamento tra il mare Mediterraneo e il centro dell’Europa. Alla sua strategia culturale, dunque, sono connaturati due poli: un polo mediterraneo e un polo mitteleuropeo.

Il polo mediterraneo costituisce il cuore in cui è fiorita la cultura classica greca e latina, con cui è nata l’intera cultura occidentale. Ha al suo est l’area ellenica e balcano-meridionale, al suo ovest l’area iberica, che nel loro insieme formano l‘intero sud dell’Europa.

Il polo mitteleuropeo, dai confini relativamente elastici, si estende dalla pianura padana all’arco alpino, compenetrandosi in quelle aree, che costituiscono il punto di incontro e di interscambio delle principali culture che concorrono, accanto alle precedenti, alla formazione della civiltà europea: celtica, latina, germanica, slava, ugro-finnica, ecc.

Tanto il contesto mediterraneo quanto quello mitteleuropeo da centri di civilizzazione sono ora ridotti ad aree periferiche e gregarie dalla politica attuata dalle forze egemoni, che impongono una strategia globalizzante Oriente-Occidente. Nella rivalità Oriente-Occidente a rimetterci più di tutti è proprio chi sta nel mezzo, l’Europa, la cui cultura pare alquanto pervasa dalla retorica di una falsa internazionalizzazione. Falsa, perché omologante e livellante; internazionale, come dice il termine, vuol dire inter nationes e non contra o sine nationibus.

Il compito culturale dell’Italia non è né di rinchiudersi nella sua nazionalità, né di sciogliersi in questa falsa internazionalizzazione globalizzante ed eterodiretta, che induce a mortificanti provincializzazioni. Il compito culturale dell’Italia, e quindi l’apporto che essa può dare all’Europa e al resto del mondo, risiede prioritariamente nell’approfondimento e nello sviluppo delle complementarità che intercorrono tra le due grandi aree del Mediterraneo e della Mitteleuropa. E’ nella sua vocazione storica e geografica, che ne fa un ponte di collegamento e di mediazione. Qui è in gioco il tipico pluralismo culturale e plurilinguismo che caratterizzano la civiltà europea, per la valorizzazione dei quali l’Italia, grazie alla sua posizione, riveste una responsabilità del tutto speciale.

L’asse Mediterraneo-Mitteleuropa è il perno di una civiltà tipicamente europea ed è lungo quell’asse che si incontrano nord e sud, est ed ovest d’Europa, così come lungo quell’asse l’Europa si incontra o si scontra con le civiltà del Vicino Oriente e dell’Africa e si consumano ripetute tensioni, che non trovano adeguati spazi di mediazione soprattutto per l’assenza di assetti compatti mitteleuropei.  Ignorando tale asse mediano, l’Europa perde il nucleo centrale e nevralgico del suo pluralismo culturale e l’Italia in particolare viene relegata a condizioni assolutamente marginali.

In conclusione, la ripresa di un ruolo culturale non subalterno dell’Italia è affidato in prima istanza al perseguimento di due precisi obbiettivi:  1) la valorizzazione anche nella formazione dei giovani, accanto allo sviluppo di scienze e tecniche, del grande potenziale umanistico, per il quale la lunga e ricca esperienza storica, maturata per tante generazioni, ha conferito all’Italia una speciale attitudine creativa ed ermeneutica; 2) l’intensificazione dei rapporti tra le aree gravitanti intorno ai due poli dell’Italia, mediterraneo e mitteleuropeo, per l’attuazione dei quali l’Italia occupa una posizione geografica e storico-culturale particolarmente privilegiata.

Le istituzioni culturali e prima di tutto le scuole e le università devono sentirsi investite di tali compiti. Perseguire entrambi gli obbiettivi non significa soltanto elevare il tono civile interno al paese, ma anche dare un contributo internazionale – e più specificamente intereuropeo – nel suo genere e nella sua portata insostituibile. Questo è un compito essenziale dell’Italia; questa è anche la sua responsabilità verso se stessa e, in pari istanza, verso l’Europa e il mondo intero.     GMC

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